I Francesi dicono di essere riusciti a coltivare il tartufo bianco

Martedì un istituto di ricerca nazionale francese ha annunciato di essere riuscito a coltivare il tartufo bianco, una delle specie di funghi più pregiate al mondo. 

Almeno questo è quanto si apprende da una nota ufficiale dell’Istituto di ricerca pubblica sotto il patronato del ministero dell’Università e della Ricerca e del ministero dell’agricoltura e della pesca francesi: «Dal 2008 — si legge nel comunicato ufficiale —, dopo nove anni di ricerca congiunta tra INRAE (Institut national de recherche pour l’agriculture, l’alimentation et l’environnement) e i vivai Robin, sono state possibili sul suolo francese le prime piantagioni di tartufo bianco finalizzate alla sua coltivazione».L’Institut national de recherche pour l’agriculture, l’alimentation et l’environnement (INRAE) dice di esserci riuscito in Nuova Aquitania, una regione della Francia dove i tartufi bianchi non si trovano in natura. Questo risultato, presentato in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Mycorrhiza, è stato ottenuto grazie a una collaborazione con il vivaio Robin di Saint-Laurent-du-Cros, un comune della Provenza-Alpi-Costa Azzurra, iniziata nel 1999. Per capire come, però, bisogna sapere alcune cose sui funghi, a partire dal fatto che il verbo “coltivare” è in realtà impreciso quando si parla di tartufi.

In altre parole un grosso vivaio francese sta portando avanti una sperimentazione su come micorizzare le piante da tartufo bianco. Non è il solo e non la prima volta che accade. La differenza è che qualche timido risultato è finalmente arrivato. I ricercatori uno su tutti l’italo-francese Claude Murat che si è formato al Cnr di Torino maturando ottime competenze in materia sono riusciti a condizionare le piante e ora, dopo una decina d’anni, si raccolgono i primi frutti». Pochi, per la verità, perché parliamo di meno di una decina di tartufi bianchi, ma tanto basta a ipotizzare nuovi scenari.

Come si è arrivati al risultato lo rende noto lo stesso Istituto di ricerche d’Oltralpe: «Siamo partiti dalle piantagioni di roverella, la specie di quercia più diffusa in Italia, oltre che la pianta tartuficola per eccellenza, abbiamo preso le radici e vi abbiamo legato a micelio l’apparato vegetativo dei funghi. Il tutto in alcune piantagioni distribuite su regioni con climi diversi, e cioè Rodano-Alpi, Contea di Borgogna Franche e Nuova Aquitania. Dopo 2-8 anni, abbiamo rilevato permanenze di micelio anche in piante messe a dimora in zone climatiche differenti. Il risultato principale? La raccolta, nel 2019, di 3 tartufi bianchi della specie Tuber magnatum in Nuova Aquitania e di quattro, nella stessa piantagione, nel 2020». Gli esiti scientifici del lavoro sono stati pubblicati il 16 febbraio sulla rivista Mycorrhiza e poi dall’Inrae.

FONTE: www.corriere.it, www.ilpost.it

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